venerdì 25 marzo 2011

IL TEMPO DI UN ASTERISCO, Autunno

Cominciamo oggi la pubblicazione della raccolta di poesie "Il tempo di un asterisco" di Livio Ottavio Turlà. A corredo dei versi è presente un'analisi critica di Frank Riccardi, il redattore della fortunata rubrica Mo' te spiego 

Autunno
Capelli sparsi sul selciato
Memoria fugace
Del tempo di un asterisco
Nota a piè di pagina
E’ il tempo passato


L'analisi critica di Frank Riccardi
Già dal titolo capiamo che ci troviamo di fronte a un autore molto sensibile alla grande tradizione poetica italiana. Il Turlà si rifà apertamente a una vetta dell’ermetismo riallacciandosi alle prime creazioni di Ungaretti. In questo caso la figura passa dalla foglia al capello, quindi si va oltre al fatalismo. Si è già passato il muro invisibile tra vita e morte.
(In questo momento di grande raccoglimento estetico, Riccardi viene disturbato da Caccamo e Losi, ndr) Eh basta, insomma. Di fronte all’arte bisogna fare un passo indietro, la poesia ha bisogno di intimità, e che cazzo…
Va beh, si diceva i capelli sparsi e dunque siamo andati nell’oltre. La memoria fugace è un concetto tipicamente oraziano “benché dell’umano ben poco rimane”. Orazio si rifugia nell’adorazione della poesia, monumento più duraturo del bronzo. Il Turlà ci ricorda che le costruzioni umane, per quanto belle, sono legate intrinsecamente al destino dell’uomo, che è quello di tornare cenere. La poesia è cenere.
Passiamo al verso probabilmente più importante. “Il tempo di un asterisco”. È interessante notare che da un riferimento latino/greco si passa alla contemporaneità italiana, anche africana, di Valentino Zaighen che usava questa immagine dello spillo. Il Turlà esalta la punteggiatura, valore caro alla neoavanguardia di Sanguineti la cui eco ricompare in questo componimento. La “nota a piè di pagina” definisce meglio l’inquadratura di questa poesia nel postmoderno. L’orizzonte su cui si muove il Turlà va da Sanguineti e l’importanza della punteggiatura e arriva sino al celebre pensiero di Totò: “Fa vedere che abbondiamo, virgola, due virgole, fai tre virgole non si dica che noi di provincia siamo tirati”. Il Turlà apprende la lezione fondamentale di questi maestri: bisogna prendere segni e sintomi della pagina ovunque siano distribuiti. Nell’ultimo verso di Autunno scopriamo che lo stile di Turlà è una circolarità che riporta all’uroboros il serpente che si morde la coda.
(Riccardi si interrompe per dileggiare Losi, che sbaglia un canestro semplice con un foglio di carta, ndr). Manco Gheddafi sarebbe così handicappato, manco la no fly zone costituita dai capelli di Caccamo.
La circolarità rimanda all’uroboros tipico della cultura celtica proveniente dalla stessa biografia di Turlà, che si è addentrato in posti sconosciuti alla romanità. Turlà conclude con il suo continuo richiamo tra presente e passato e quindi tra continuità e fertilità. Autunno di Turlà, poesia di eccezionale valore, significa vita che si rigenera.

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