mercoledì 17 giugno 2015

CACCAMO&SPOSATO: le nozze degli impresentabili

Lo diceva donna Bindi: questo matrimonio non s'ha da fare. E invece Losi Girolamo Lino Alvise, vezzosamente detto Cialtrone, se ne è fregato e, su quel ramo del lago di Bolsena che volge alle valli piacentine, il matrimonio l'ha fatto lo stesso. Lo sposalizio di Alvise ("secondo me è il cognome", cit.) è stato un perfetto spot di questa nuova Italia renziana.

Cominciamo dallo sposo: impresentabile, eppure candidato lo stesso, nonostante le pressioni della sua ex Rosy Bindi. E poi, matrimonio celebrato il giorno prima dei ballottaggi, in evidente spregio del silenzio elettorale: solo un sussulto di prudenza (Alvise sapeva benissimo di avere intorno a sé una schiera di cronisti di razza - bastarda) ha fatto sì che lo sposo pronunciasse un timido e accennato "sì" al referendum su se stesso. La sposa, stanca di essere usata per questi ignobili giochi di potere, avrebbe correttamente evitato di rispondere. D'altra parte, il Cialtrone si era già intestato un fantomatico jus primarie noctis.

Il nostro giudizio non è severo, al massimo Severino. L'impostazione renziana invece è fin troppo chiara: la 500 in omaggio a Marchionne, la celebrazione a Bettola (Bersani aveva avvertito: "oh ragassi, mica siamo qui a mangiare l'impepata di nozze"), circondati da Boschi, non c'era il vino di D'Alema, e poi quell'evidente spot pro Jobs Act. Cos'altro rappresentevano i due testimoni dello sposo, se non un contratto a tutele crescenti? Infatti, tra tutti gli articoli che ha letto il celebrante, mica è stato citato l'articolo 18... 
Ci mancava solo che cantassero Fratelli d'Italicum.

Daoud

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